Qualcuno spieghi a Trichet che la priorità della Bce è politica e non tecnica
Di Carlo Pelanda (29-11-2005)
Questa
rubrica non vuole complicare la vita alla Bce comprendendo la difficoltà
della sua missione. Gestire la credibilità dell’euro senza un
governo paneuropeo, con nazioni irriformate a bassa
crescita e disoccupazione endemiche, è un incubo. Infatti
Moody’s non esclude più una possibile
dissoluzione dell’euro, pur di minima probabilità. E nessun attore
razionale vuole rischiare il crollo, anche quelli che ne hanno criticato la
costruzione: tetto senza i muri. Ormai l’euro c’è e siamo
tutti impegnati a sostenere il tetto con pura aria, a soffiare. Questa premessa
serve per dire a Trichet che le recenti pressioni dei
governi, di economisti e di molti politici affinché non alzasse troppo
presto il costo del denaro non erano ingerenze, ma
segnali affinché interpretasse realisticamente la situazione. Il punto
è che la priorità della Bce è quella di presentarsi come
istituzione che aiuta gli europei e non li danneggia, evitando di farsi
imputare dalle genti impoverite come causa del loro malessere. E ciò,
nel breve periodo, significa portare il valore di cambio dell’euro il
più vicino possibile alla parità con il dollaro manovrando i
tassi in modo tale da mantenere quelli europei più di due punti sotto quelli americani. Con lo scopo di permettere
all’eurozona di fare crescita nell’unica area dove lo può
fare, l’export. E’ vero che l’impoverimento è causato
dall’incapacità riformatrice dei governi nazionali. E’ vero
che la leva del cambio è pericolosa sia perché aumenta
l’inflazione importata sia per il rischio che comunque il dollaro
potrebbe crollare per lo squilibrio del suo sistema sottostante. Ma queste
verità hanno rilievo politico minore della priorità di far
crescere un po’ l’Europa a tutti i costi, per rilassare le
tensioni, e anche evitare che Bce ed euro divengano oggetto di dissenso
popolare. Trichet deve decidere se vuole l’euro
con cambio forte col rischio di delegittimazione o il cambio debole con un
po’ di rischio di inflazione. La decisione di alzare i tassi dello 0,25%
non è di per se tecnicamente criticabile
perché contiene
l’espansione fuori parametro della massa monetaria M3, l’eccesso di
ricorso al carry-trade che si nota nel mercato, ecc.
Ma politicamente è sbagliata perché lascia trasparire, nonostante
le smentite, la preferenza per un cambio forte. Il cui rischio di impatto
recessivo è considerato minore di quello che tra 18 mesi vi potrebbe
essere un pelino di inflazione da correggere con
grande anticipo. Surreale. Comunque si può riparare non alzando ancora i
tassi nel
Carlo Pelanda